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Russia e Cina hanno deciso di contrastare insieme le rivoluzioni colorate. In Georgia staranno ora fischiando le orecchie ai protagonisti delle manifestazioni svoltesi nei giorni scorsi.

Il contrasto alle rivoluzioni colorate fa parte degli accordi di sempre più stretta partnership, economica e non solo, siglati dai presidenti di Russia e Cina, Putin e Xi Jinping. L’occasione di questi accordi è stata il viaggio a Mosca di Xi Jinping, che si è concluso mercoledì 22 marzo 2023, e che ha portato “ad un nuovo livello” le relazioni fra i due Paesi.

In Occidente si parla poco del fatto che anche il comune no alle rivoluzioni colorate fa parte di questo “nuovo livello”. Tuttavia lo riportano sia l’agenzia di stampa ufficiale russa Tass sia il Dipartimento informazione del Consiglio di Stato cinese.

IL PIANO CONTRO LE RIVOLUZIONI COLORATE

Le rivoluzioni colorate sono quelle che si svolgono in Paesi ex sovietici con l’appoggio dell’Occidente e che sono dirette contro governi ritenuti troppo legati alla Russia. Gli episodi recenti non si limitano alla Georgia. Nell’estate 2020 è fallito un cambio di regime in Bielorussia. Nel gennaio 2022 ne è fallito un altro in Kazakistan. Tuttora si ha l’impressione che l’Occidente possa aprire nel Caucaso un altro fronte della guerra in Ucraina.

L’agenzia Tass specifica che Russia e Cina contrasteranno le rivoluzioni colorate in Asia centrale. Nel comunicato della Cina manca invece l’indicazione geografica. Se questo particolare della Tass è accurato, significa che Russia e Cina hanno creato una comune sfera di influenza in Asia centrale, dove non intendono tollerare interferenze occidentali. Conseguenza implicita: fuori dall’Asia centrale, le eventuali interferenze occidentali potranno costituire un problema o per la Russia o per la Cina; non però per tutte e due insieme.

Difficile immaginare in cosa potrà concretamente consistere il comune contrasto di Russia e Cina alle rivoluzioni colorate. Infatti, almeno in base a quanto è stato reso pubblico, l’alleanza militare non fa parte del “nuovo livello” delle relazioni. Però non sembra neanche molto verosimile che il contrasto possa limitarsi alla comune condanna verbale.

CORRIDOIO DI LACHIN, NAGORNO-KARABAKH E AZERBAIGIAN

La Russia in questo modo si è costruita una sorta di scudo lungo il suo turbolento confine sud orientale, dove martedì 21 marzo 2023 ha compiuto 100 giorni il blocco del corridoio di Lachin. Si tratta di una faccenda che la coinvolge da vicino e che si è aggravata in queste ore per via del gas: l’Azerbaigian ha di nuovo bloccato le forniture al Nagorno-Karabakh.

La crisi del corridoio di Lachin è scoppiata nello scorso dicembre. Riguarda l’unica via di comunicazione che unisce al resto del mondo il Nagorno-Karabakh, un’enclave di etnia, lingua e cultura armena situata all’interno dell’Azerbaigian. L’Azerbaigian ruota nell’orbita degli Stati Uniti; l’Armenia è vicina alla Russia. Quest’ultima ha nel Nagorno-Karabakh un contingente di soldati in missione di pace.

Il corridoio  si trova ovviamente in territorio azero. Ufficialmente è bloccato da attivisti ambientali, preoccupati per le attività minerarie effettuate dagli abitanti del Nagorno-Karabakh. Difficile pensare che in un Paese come l’Azerbaigian il blocco del corridoio possa avvenire senza una seppur tacita o implicita benedizione governativa.

GIULIA BURGAZZI

 

 



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